Due settimane forse non sono abbastanza per farsi un’idea corretta del perché e del per come l’Australia sia una meta così ambita da ragazzi di molte parti del mondo, italiani compresi, che in quanto a presenza sono secondi solo agli asiatici (cinesi, taiwanesi, coreani). Però una prima impressione me la son fatta ed è parecchio diversa da quella che avevo immaginato prima di partire, soprattutto per quanto riguarda i miei connazionali.
Ad esempio, che i “backpackers“ italiani vadano in Australia con il Working Holiday Visa per viaggiare e saltuariamente lavorare nelle farm per pagarsi le spese di viaggio, come ho letto in diversi blog e sentito da più persone, non è sempre vero. Almeno qui a Tully la maggior parte dei giovani in particolare italiani è arrivata per fare quello che in Italia non può fare o al massimo potrebbe fare per paghe da miseria: lavorare. Altro che viaggiare e imparare l’inglese. E non sono pochi quelli che sperano di potersi inserire in una farm e ottenere un permanent visa per rimanerci a lavorare a tempo indeterminato.
Insomma, fughe che ricordano sempre di più le migrazioni del Dopoguerra e sempre meno i suggestivi viaggi sulla strada alla Jack Kerouac.